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Alessio Barchitta

Alessio Barchitta

Alessio Barchitta nasce a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1991.
Si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dove consegue il titolo in Arti Visive con indirizzo Pittura nel 2017. Nel 2013 fonda il Collettivo Flock, associazione no profit per l’arte contemporanea, dove è attivo nell’organizzazione di progetti e residenze d’artista nel suo territorio d’origine. Vive e lavora a Milano e Barcellona Pozzo di Gotto.
Nel lavoro di Barchitta, “luogo”, “tempo”, “durata”, sono argomenti frequenti che si diramano a loro volta in coppie contrarie come “pubblico-privato”, “confortevole-sconfortevole”, “imposizione-sottomissione”, “stabilità-transitorietà”, “tragico-ironico”, “ovvio-celato”.
Le sue opere fanno uso di codici e simboli collettivamente riconosciuti, elementi che vengono riconvertiti tramite un’attenta scelta dei materiali e una differente destinazione d’uso.

www.alessiobarchitta.com

CAPPELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Noi andremo in paradiso perché all’inferno ci siamo già stati

Uno dei due interventi di Alessio Barchitta all’ex Carcere Sant’Agostino si sviluppa nella Cappella, un luogo di preghiera/speranza/redenzione morale che l’artista, in fase di sopralluogo, vede contaminato da residui di guano, rilasciati da piccioni entrati nello stabile.
Il collegamento con la serie SHIT HAPPENS (cui Barchitta lavora dal 2020 e che vede come materiali utilizzati proprio il guano di piccioni e colombi, unito alla resina) appare da subito ideale per una riflessione sulla monumentalità, ma anche sulla realtà che distrugge il simbolo, e sulla libertà che passa da una temporalità giudiziaria, che si scolla dal perdono del credo. Due facce della stessa medaglia che oggi perdono la loro monumentalità. La realtà ha superato la monumentalità del suo opposto simbolico: la colomba.
SHIT HAPPENS riproduce la parte frontale della mensa di un altare barocco, che raffigura la Madonna con le anime purganti, e parti delle decorazioni a parete della Chiesa delle Anima del Purgatorio di Barcellona Pozzo di Gotto (paese d’origine dell’artista). A prima vista i diversi elementi si presentano sinuosi nei decori e arcaici nel materiale, per un incontro con lo spettatore tutto basato sull’estetica. Questo primo dato è caratteristico del lavoro di Barchitta. L’opera infatti risulta familiare, interagendo nell’immediato con chi la osserva che, senza troppi interrogativi, rimanda ad un oggetto tipico della cultura popolare: un altare votivo. Questa prima interazione, semplice e spontanea, è un tassello fondamentale per innescare una serie di associazioni che improvvisamente entrano in contrasto con il materiale di cui è composta l’opera: guano di piccioni/colombi e resina.
L’iconografia dell’altare, che raffigura le anime purganti in atto di preghiera tra le fiamme, nell’attesa del loro sconto di pena, diventa estremamente reale se messa a confronto con una scritta ritrovata in una delle celle: “noi andremo in paradiso perché all’inferno ci siamo già stati”.

CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Eterotopìa

Eterotopìa è il fenomeno per cui si originano stimoli di attività funzionale in sede diversa dalla normale.
Nella cella si configura un’illusione che porta il paesaggio esterno, aperto, all’interno di uno chiuso. Al suo interno, l’opera Kick me di Alessio Barchitta: una grande tenda circoscrive uno spazio, sopra una serie di stampe riporta le immagini di cinque bunker del secondo conflitto mondiale, costruiti sulla costa, nel territorio di appartenenza dell’artista. Questi sorgono alla foce di due torrenti che delimitano i confini geografici del comune dove Barchitta è cresciuto. All’interno, una distesa di prato sintetico, proveniente da uno dei due torrenti, porta con sé gli odori e l’erba tipica di quel territorio. Sopra il tappeto, un oggetto dall’aspetto comune: un pallone da calcio. I materiali ne negano la consueta funzionalità, lasciando al fruitore il desiderio di un gesto irrealizzato. Se lo spettatore dovesse calciare il pallone, rischierebbe di farsi del male. L’estetica apparentemente disimpegnata è in contrasto con la materia: agglomerati di piastrelle, vecchi rivestimenti d’interni, frammenti di un abitare confortevole che, con amara ironia, si mostrano come possibile strumento di svago e privazione.
Quale gioco all’interno di una cella adempie alla sua funzione ludica? Qual è il confine che delimita il nido e l’approdo del rifugiato?