Eleonora Chiesa
Eleonora Chiesa, nata a Genova nel 1979, è un’artista attiva nell’ambito performativo e video. Rapporto tra umanità e ambiente e relazione con l’alterità animale sono temi ricorrenti nella sua ricerca. Dal 2019 al 2022 è stata docente del Laboratorio di Metodologie per lo studio delle arti performative presso l’Università degli Studi di Genova. Nel 2018 a Genova fonda Prisma Studio, spazio di ricerca interdisciplinare che gestisce attraverso diverse collaborazioni con curatori indipendenti e artisti. Dal 2004 ha realizzato performance e partecipato a numerose mostre in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero a Parigi, Berlino, Londra, Atene, Mar del Plata (Argentina).
Intervista ad ELEONORA CHIESA di Francesca Di Giorgio
La performance Cruz del Sur – nata dal laboratorio Emerging Filling realizzato al Museo della Ceramica di Savona con una rappresentanza de* bambin* delle classi quinte A-B-C della scuola primaria Mazzini dell’Istituto Comprensivo Savona “Don Andrea Gallo” – ha rappresentato un momento importante del Festival arrivando a coinvolgere le generazioni più giovani con cui tu hai familiarità anche per il ruolo di Docente in Laboratorio di Metodologie per lo studio delle arti performative presso la Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università degli studi di Genova. Ci racconti come hai deciso di approcciarti ai bambini per questa nuova edizione del tuo lavoro?
Con i bambin*, anche quando si tratta di interazioni didattiche, è spesso necessario affidarsi all’intuito e all’empatia, facendo grande attenzione alla relazione personale che si innesca con ciascun* di loro, soprattutto se l’obbiettivo è quello di creare affiatamento e complicità per un progetto comune e davvero condiviso. Per entrare in comunicazione con i bambin* bisogna saper essere interessanti ma allo stesso comprensibili, bisogna tenere viva l’attenzione ma anche dimostrare di meritare la loro fiducia.
Lo scopo del workshop era quello di coinvolgere i bambin* nel progetto e nell’idea alla base della performance, far capire loro che cosa si voleva dire con quell’azione simbolica realizzando e trasportando insieme quella grande bandiera. Il fine del laboratorio era arrivare a compiere un’azione performativa corale e partecipata.
Quali sono stati in breve gli step?
Il laboratorio si è svolto in tre incontri, presso il Museo della Ceramica di Savona con un momento finale a Scuola, alla presenza della curatrice Livia Savorelli.
Durante gli appuntamenti del workshop ho cercato di introdurre in modo semplice e comprensibile, il concetto di performance nelle arti visive, in quanto azione particolare dotata di un senso (un “comportamento espressivo situato” – cfr. Angela Vettese). Ho cercato anche di fornire nozioni base ed esempi sul linguaggio non verbale e la sua importanza tra i viventi, contestualmente ho mostrato e commentato del materiale di mie performance precedenti che potevano avere attinenza con il progetto.
Nella prima metà del tempo destinato al laboratorio si è parlato di speranza e paura, e i bambin* hanno condiviso le loro esperienze ed emozioni rispetto a questi temi. Nella seconda parte ci siamo dedicat* alla realizzazione della bandiera e, con loro, abbiamo pensato al possibile “design” delle lettere, alla loro composizione e al come sarebbero state apposte sui due lati della bandiera. Infine è stata illustrata la dinamica vera e propria della performance come azione collettiva che si sarebbe fatta insieme durante il festival.
Cruz del Sur è il titolo del progetto che fa riferimento alla costellazione omonima Croce del Sud, visibile in primavera nell’emisfero australe e dalle zone “a sud del mondo” rispetto all’occidente e che, con il tuo lavoro, carichi di significato…
Cruz del Sur, in origine, prende spunto dal titolo di un lavoro di Wifredo Lam presente sulla passeggiata degli artisti ad Albisola. Come dici anche tu la croce del Sud è appunto visibile nell’emisfero australe, dalle zone “a sud del mondo” (del nostro mondo), questa costellazione è stata scoperta dopo l’inizio dei grandi viaggi dei coloni europei ed è stata utilizzata a lungo dai naviganti per l’orientamento in mare per indicare il Polo Sud Celeste. Inoltre la costellazione Cruz del Sur è presente in numerose bandiere nazionali dei paesi dell’emisfero australe come Australia, Nuova Zelanda, Nuova Guinea e Brasile. L’idea alla base di queste premesse è che le migrazioni umane non sono un fenomeno che appartiene solo al nostro tempo – la storia della nostra specie è una storia di migrazioni dal Paleolitico ad oggi, tutti gli esseri umani viaggiano, migrano, si spostano da sempre alla ricerca di nuovi spazi, di nuove risorse, di nuove opportunità di esistenza – e questo spesso non viene tenuto in considerazione quando si parla di fenomeni migratori, politiche di accoglienza o al diritto di movimento che dovrebbe essere garantito a chiunque.
Croce del sud suggerisce l’idea di un cambio fisico e ideologico di prospettiva, indica uno spostamento, un passo laterale rispetto alla visione eurocentrica. Immaginare un orizzonte e un cielo differenti. Chi vede la croce del sud non vive in occidente ma magari attraversa il deserto, le fredde foreste dei Balcani o il mare utilizzando natanti di fortuna rischiando o perdendo la propria vita (bambini compresi) per poter vedere il cielo del nord.
Hope e Fear, Paura e Speranza, sono i due termini antitetici cuciti, in questa occasione, con la collaborazione della Sartoria Sociale Antico Giardino di Albissola Marina (SV), su stoffe particolari: due facce di una stessa “bandiera”… Da cosa sono composte le lettere di queste due parole?
Le lettere di queste due parole sovrapposte sulle due facce della bandiera sono state realizzate – in forma di patchwork – con scampoli di tessuto, stoffe d’affezione e/o vecchi vestiti in disuso che hanno portato i bambin* su nostra richiesta. È bello pensare che in quelle due scritte ci sia un po’ della vita di ciascun* bimb* che ha preso parte alla performance. Con loro abbiamo parlato dei significati di queste due parole e dei concetti di Speranza e Paura riferiti rispettivamente all’apertura e fiducia verso con l’altra/o da sé nel primo caso e alla chiusura, pregiudizio diffidenza (e quindi paura) nel secondo. Abbiamo anche parlato di empatia e di come si può vivere l’incontro con l’altro/a in diverse situazioni e come i possibili pregiudizi della vita quotidiana influenzino le nostre relazioni rispetto ai sentimenti di paura o speranza. I termini Fear and Hope indicano sentimenti collegati a chi si sposta per motivi di necessità, soprattutto di chi decide di intraprendere un lungo viaggio per condizioni contingenti per fuggire dalla carestia o dalla guerra, di chi si mette in viaggio con la paura dei rischi e delle avversità che dovrà affrontare, ma anche con la speranza di riuscire ad arrivare per potersi mettere in salvo o di trovare finalmente un altro posto dove vivere, lavorare, costruire un nuovo progetto di sé. La paura può essere anche il sentimento di chi si trova ad accogliere i migranti, altri sconosciuti diversi all’apparenza per aspetto o per cultura; la speranza è ciò che rende possibile l’incontro di alterità differenti.