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Gianni Moretti

Gianni Moretti, ritratto di SPEX, Cristina Nunez

Gianni Moretti è nato a Perugia nel 1978. Vive e lavora Milano.
Artista visivo con all’attivo mostre personali e collettive in Italia e all’estero; dal 2015 è docente presso LABA, Libera Accademia di Belle Arti di Brescia. Uno dei filoni principali della sua ricerca verte sulla decostruzione e ricontestualizzazione delle forme del monumento pubblico.
È Accademico di Merito dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, Fellow di Civitella Ranieri Foundation (New York) e membro della giuria del Premio Lydia! (Milano). I suoi lavori sono presenti in collezioni private e pubbliche, tra le quali: Palazzo Poggi, Bologna; Museo d’Arte Contemporanea, Lissone; Museo MAR, Ravenna; Museo della Resistenza (Stazzema); Museo dell’Accademia di Belle Arti, Perugia.

www.giannimoretti.com
www.anna-monumentoallattenzione.net

CORTILE INTERNO EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Anna – Monumento all’Attenzione (promessa)

Anna – Monumento all’Attenzione è un intervento di arte ambientale partecipato, aperto e inclusivo, ideato da Gianni Moretti e dedicato ad Anna Pardini, la più giovane vittima dell’eccidio nazifascista avvenuto a Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto 1944.
Inaugurato il 25 aprile 2018, il progetto è tuttora in corso d’opera e si sviluppa lungo la mulattiera che da Sant’Anna conduce a Valdicastello Carducci. È un monumento che non si impone alla vista: va cercato, curato e riportato alla luce come la memoria stessa. Si compone di 26.919 elementi, a forma di cardo, ognuno dei quali simboleggia un giorno non vissuto della vita di Anna Pardini, dal momento della sua morte al giorno dell’inaugurazione del monumento.
L’opera, tenuta in vita da tutte/i coloro che vorranno partecipare alla sua costruzione, piantando uno o più cardi lungo la mulattiera, è nata da due necessità: ricordare e riparare, su un piano simbolico, quello che l’eccidio ha distrutto, mettendo l’osservatore nella posizione di immaginare quel percorso di vita che non ha potuto manifestarsi, quello di Anna come quello di tutte le altre vittime. Il monumento così immaginato è in grado inoltre di cambiare il proprio statuto, accompagnando il fruitore da una condizione di osservazione a una di partecipazione attiva, consapevole e attenta. L’attenzione è un processo cognitivo che richiede alcune condizioni specifiche, tra queste il fatto che il soggetto viva uno stato di prossimità e di misurabilità con l’oggetto cui presta attenzione, senza che questo venga percepito come distante, pericoloso o fuori della propria scala.
L’artista ha pensato alla possibilità che il lavoro potesse allontanarsi temporaneamente dal territorio di S. Anna per tornarvi in altra forma e con altra energia. Con la promessa, gli elementi costitutivi sono appoggiati sul pavimento, dialogando con lo spazio circostante, disposti secondo dei cerchi concentrici che ricordano il movimento di un mandala. L’installazione così concepita è una forma destinata alla disgregazione, temporanea, in cui gli elementi a terra sono lasciati in deposito temporaneo in un altro luogo. Chiunque potrà prendere uno degli elementi se lo vorrà, ma questa scelta implica una promessa: entro un anno dovrà andare a S. Anna per installare il cardo lungo la mulattiera per la quale è pensato.

 

Intervista a GIANNI MORETTI di Nicoletta Biglietti

Una poetica delicata, ma intrisa di riferimenti profondi è quella di Gianni Moretti, artista che nell’ambito di CONNEXXION Festival Diffuso di Arte Contemporanea …per essere liberi. Tra identità e memoria, a cura di Livia Savorelli, è presente in tre distinti momenti: con l’installazione Cinquemilanovecentosedici minuti per Orlando (2021), al Museo Sandro Pertini e Renata Cuneo di Savona, nella mostra Dialoghi intorno alla libertà, a cura di Livia Savorelli; nella seconda parte di CONNEXXION all’ex Carcere Sant’Agostino con una riproposizione di Anna – Monumento all’Attenzione (promessa) e, infine, nella realizzazione del laboratorio Altro. Il disegno e il tatto come strumenti di esplorazione.

Cinquemilanovecentosedici minuti per Orlando (2021) è un’installazione che si basa sul concetto di “ridare tempo a chi Tempo non l’ha avuto”. Da cosa è nato il desiderio di realizzare quest’opera?
Sono rimasto molto colpito dalla storia di Orlando Orlandi Posti, conosciuta grazie al Piccolo Museo del Diario di Pieve Santo Stefano: un ragazzo, non ancora maggiorenne, che nel 1944 venne recluso nelle carceri di Via Tasso a Roma e che fu ucciso, di lì a poco, alle Fosse Ardeatine.
Una vicenda che sarebbe rimasta completamente nell’ombra se non fosse stato per i suoi eredi che – con dedizione e cura – consegnarono lo scambio di messaggi avvenuto tra il giovane e la madre durante la sua permanenza in carcere. In quei messaggi – nascosti nei colletti delle camicie che le mandava a lavare – Orlando raccontava le paure, i desideri e i rimpianti di un ragazzo che, una volta uscito dal carcere, si immaginava medico accanto alla ragazza che amava. A quella ragazza, Marcellina, dedicò l’ultimo messaggio rimasto incompleto.
Ho da subito sentito una connessione profonda con la sua storia e la necessità di raccontarla. L’unica cosa che potevo fare era donargli il mio tempo, un’infinitesima parte di quel tempo di cui era stato privato. Da qui la decisione di ricopiare esattamente tutti i messaggi che – trascritti e pubblicati successivamente – Orlando aveva scritto alla madre durante il periodo di incarcerazione.
Ricopiare quei testi, attraverso caratteri mobili da stampa su 32 lastre di ottone, è stato come sedermi al suo fianco, dedicando attenzione e cura a ognuna di quelle lettere, masticando nella mia mente ognuna di quelle parole. Ho cercato di stare accanto a quella vita il più possibile con gli strumenti che avevo, consapevole dell’impossibilità di comprendere quell’abisso. L’unica cosa che potevo fare era dare spazio, e tempo appunto, a quella memoria, cercando di amplificarla e tenerla sotto il nostro sguardo. Ho cercato di illuminare una prossimità, le nostre prossimità come esseri umani, nel modo più semplice possibile.
Un tempo da dedicare che è richiesto anche al fruitore: i messaggi, infatti, sono stati incisi su lastre di ottone, un materiale che rende abbastanza complessa la decifrazione dei testi a causa dei riflessi che su di esso si creano. Una lettura dunque, che non è immediata né semplice, ma che deve essere praticata con una certa consapevolezza e attenzione. Con un desiderio di “rallentare” per donare parte della propria vita, a chi quella vita l’ha vista sfumare via.

Nella seconda parte di CONNEXXION all’ex Carcere Sant’Agostino riproponi Anna – Monumento all’Attenzione (promessa), sviluppo dell’omonimo intervento di arte ambientale partecipato, aperto e inclusivo. Come è nata l’opera e come finirà?
Il 12 agosto del 1944 a Sant’Anna di Stazzema si verificò uno degli eccidi più feroci della Seconda guerra mondiale in cui, ad opera di nazi-fascisti, persero la vita 560 civili innocenti.
Nel 2016 l’allora soprintendente di Lucca e Massa Carrara, Luigi Ficacci, mi chiese di immaginare un monumento per vivificare il loro ricordo, monumento poi realizzato grazie al PAC, Piano per l’Arte Contemporanea 2016 del MIC.
All’inizio ebbi un po’ di difficoltà nell’affrontare un tema così delicato per il timore di risultare retorico o banale. Dopo diverse ricerche “incontrai” la figura di Anna Pardini, vittima più giovane di quell’eccidio che morì a solo 20 giorni di vita.
Anna – Monumento all’Attenzione non si impone alla vista ma va cercato, riportato alla luce e curato, come la memoria stessa. È composto da 26.919 elementi: ognuno di essi ricorda la forma di un cardo e simboleggia un giorno non vissuto della vita di Anna, dal momento della sua morte a quello dell’inaugurazione del monumento, avvenuta il 25 aprile 2018. Un’antica leggenda tedesca racconta che, nel luogo dove era stato commesso un omicidio, ogni giorno a mezzogiorno sarebbe cresciuto un cardo dalla forma che ricordava una persona e, non appena il cardo ne avesse assunto la forma completa con braccia, gambe e dodici teste umane, sarebbe scomparso. Una volta installati, il paesaggio si arricchirà di altri 365 elementi per ogni anno successivo.
Anna – Monumento all’Attenzione nasce dalla duplice necessità di ricordare e riparare, su un piano simbolico, quello che l’eccidio ha distrutto. Desidera porre il suo osservatore nella posizione di immaginare la vita non vissuta di Anna, come di tutte le altre vittime.
Il monumento così concepito è in grado di cambiare il proprio statuto, accompagnando il fruitore da una condizione di osservazione a una di partecipazione attiva, consapevole e attenta.
Anna – Monumento all’Attenzione (promessa) è una sua propaggine. Si tratta di un’installazione a pavimento immaginata come parte integrante del processo dell’opera. Ho pensato alla possibilità del lavoro di allontanarsi temporaneamente dal territorio di S. Anna per tornarvi in altra forma e con un’altra energia. Questa installazione è pensata per diversi luoghi, creando ogni volta un dialogo specifico con lo spazio ospitante. Gli elementi che formano il monumento sono poggiati sul pavimento, disposti secondo dei cerchi concentrici che ricordano il movimento di un mandala. L’installazione così concepita è una forma destinata alla disgregazione, in cui gli elementi a terra sono solo lasciati in deposito temporaneo presso un altro luogo. Chiunque potrà prendere uno degli elementi se lo vorrà, ma questa scelta implica una promessa: entro un anno dovrà andare a S. Anna per piantare il cardo lungo la mulattiera per la quale è stato pensato.
Un’installazione che interroga l’idea di monumento come inscritto in un luogo preciso, sviluppandosi invece nello spazio e nel tempo per poi fare ritorno al “suo luogo natale”. Ho cercato di dare vita a un processo in cui il fruitore fosse caricato della responsabilità legata a una scelta (raccogliere o meno il cardo). In tale processo è il corpo stesso del fruitore a divenire luogo di memoria e monumento.

Perché proprio Anna Pardini, la più giovane, quel cuore non ancora sbocciato che nella tua installazione si fa “portavoce” di un futuro di consapevolezza e conoscenza?
Quando andai a Sant’Anna mi colpì la storia di Anna perché nacque nel 1944, pochi anni prima di mio padre. Io rischiai di perdere mio padre alcuni anni fa, e quando conobbi la sua vicenda mi sembrò che le due figure si fossero in qualche modo sovrapposte. Era come se Anna fosse diventata parte della mia vita, perché, di fatto, avrebbe potuto farne parte. Quello che ho notato – rispetto anche alla mia modalità di affrontare tematiche riferite alla guerra – è che si tende sempre a creare una scissione, una lacuna tra lo ieri e l’oggi. La mia idea era invece quella di creare un intervento monumentale che creasse un ponte, che colmasse quella lacuna e che, anzi, ne permettesse un attraversamento. Volevo che il monumento fosse dedicato ad una specifica persona, perché solo parlando del singolo si riesce a parlare, in realtà, della collettività.

In Altro. Il disegno e il tatto come strumenti di esplorazione poni l’accento sulla differente percezione che i partecipanti avranno l’uno dell’altro prima e dopo il workshop. Perché questa particolare attenzione correlata al tatto?
Il tatto è la prima forma di conoscenza del mondo che ognuno di noi sperimenta.
Questo laboratorio nasce da alcune domande che mi sono posto: che tipo di relazione abbiamo con l’Altro? Quanto siamo spaventati dal contatto fisico con un’altra persona, che sia estranea o conosciuta?
La vista genera l’illusione di sapere chi si ha di fronte, creando una distanza rassicurante mentre il tatto accorcia questa distanza e chiarisce la qualità delle relazioni. Partendo da queste riflessioni ho ideato un laboratorio il cui punto nodale è utilizzare il tatto e il disegno come strumenti di conoscenza, misurazione e riduzione di quella distanza.
Privati dalla sicurezza che la vista offre, ai partecipanti verrà chiesto di esplorare attraverso le proprie mani il volto dell’Altro, diventato paesaggio attraente e pericoloso in cui immergersi, e di tradurre questo paesaggio attraverso il disegno.
Il senso del laboratorio è quello di comprendere quanto siamo profondamente connessi gli uni agli altri e se riusciamo – nella realtà – ad avvicinarci all’Altro senza averne paura, rendendolo parte integrante della nostra vita, attuando così una rigenerazione che da individuale possa diventare collettiva.