Ilaria Margutti
Ilaria Margutti è nata a Modena nel 1971, vive e lavora a Sansepolcro (AR), dove svolge l’attività artistica e quella di docente di Storia dell’Arte. Dal 2013, insieme a Laura Caruso, si occupa del recupero di Palazzo Muglioni, oggi CasermArcheologica, centro per le arti contemporanee. Laureata all’Accademia di Belle Arti di Firenze, le sue opere sono state esposte in musei pubblici e gallerie private sia in Italia che all’estero. Dal 2007 inserisce il ricamo nelle sue tele, linguaggio in cui sente meglio rappresentata la propria poetica.
Intervista a ILARIA MARGUTTI di Francesca Di Giorgio
La mappa dentro le parole è l’intervento laboratoriale che hai proposto con il contributo degli studenti dell’Istituto Mazzini da Vinci di Savona riflettendo sul concetto di mappa di una città. Quale prospettiva hai scelto per questo viaggio ideale, a partire dall’arte del ricamo che da tempo accompagna la tua ricerca?
Quando ho pensato di costruire il percorso che volevo far affrontare ai ragazzi e ragazze dell’Istituto Mazzini da Vinci di Savona, volevo farli riflettere su come ognuno di noi vive, attraversa e trasforma il territorio che abita, per sviluppare la consapevolezza che le città che abitiamo sono il frutto di stratificazioni, di trasformazioni che abbiamo ereditato e per questo sono luoghi che portano con sé non solo la storia, ma anche le risposte alle domande di chi le ha vissute prima di noi.
Per questo è importante saper rivolgere le domande giuste alle città che abitiamo, perché nell’abitarle le trasformiamo e, allo stesso tempo, lasciamo traccia del nostro passaggio a chi verrà dopo.
Prendersi cura delle nostre città non significa solo rispettarne l’identità storica, ma anche saperle vivere riconoscendone i segni lasciati dal nostro passaggio.
Ho preparato la tela di 7 metri x 2 riportando a ricamo la mappa di Savona e su quella tela gli studenti e le studentesse sono intervenuti con i loro ricami, modificandone totalmente l’aspetto iniziale. I loro punti hanno trasformato un lavoro già fatto da qualcun altro, si sono resi partecipi di un fare collettivo che permettesse loro di provare come ogni intervento nostro può modificare uno schema preposto, in meglio o in peggio, quello lo dovranno imparare da soli, il concetto dell’opera risiede nel lavoro della collettività.
Hai fatto vivere alla comunità un momento laboratoriale e performativo, insieme, che resta impresso nella grande tela Come un filo che pende nel pensiero, protagonista della performance alla Torre del Brandale – Campanassa, uno degli edifici simbolo della città di Savona. Quali parole e immagini sono emerse?
Mi interessava che l’esperienza dell’opera non rimanesse solo alle persone e ai giovani che avevano partecipato ai laboratori, per me era importante restituirlo ai cittadini e alle cittadine savonesi, oltre che come opera compiuta rimasta poi in mostra nella Torre del Brandale per circa tre mesi, la performance è stata pensata per ampliare il coinvolgimento, per riflettere insieme sul proprio territorio, sulla propria città.
Prima di incontrarmi personalmente e iniziare a ricamare, gli studenti e le studentesse hanno svolto un lavoro insieme alla loro insegnante di lettere, Claudia Palone, che li ha guidati alla scoperta dei luoghi più significativi di Savona e li ha preparati a svolgere un testo che riflettesse su quale fosse il loro concetto di città vivibile e, in base a ciò che avevano visitato, quali fossero i loro luoghi del cuore e per quali motivi.
Nadia Belfiore ha poi tradotto i testi dei ragazzi e delle ragazze in dialetto Savonese e la sua voce narrante ha accompagnato la mia performance che ho eseguito in cima alla grande scalinata, che dall’atrio di ingresso conduce al primo piano, mentre riportavo a ricamo parte dei testi prodotti dagli studenti.
All’inizio non potevo sapere quale forma avrebbe preso la tela e quali parole sarebbero scaturite dai ragazzi, ma c’è sempre chi riesce a sorprendere e sa tirare fuori visioni che ci insegnano a leggere il nostro tempo.
L’ascolto reciproco è certamente alla base del tuo lavoro, quali storie ti sono rimaste maggiormente impresse dei tuoi giorni savonesi?
Ogni residenza artistica mi insegna l’ascolto, a seguire il ritmo delle persone che, vivendo in un dato territorio, segue il tempo della terra in cui abitano.
Quando si entra in “casa d’altri” all’inizio c’è sempre un po’ di cautela nell’accoglienza da parte di chi ospita, poi mi accorgo che le persone hanno voglia, hanno bisogno di raccontarsi, di accompagnarti nel loro mondo che è fatto di relazioni, di scambi e di cura, se fai attenzione a questo, allora senti che tutto ti si apre e le cose accadono senza cercarle.
Quello che mi è rimasto forte di questa esperienza sono le storie di vita che mi hanno saputo sorprendere; Nadia ha avuto molta premura nell’accogliermi e, nel ricamare insieme, mi ha raccontato la nascita dell’Associazione “A Campanassa” e la sua visione che ancora oggi, dopo tanti anni di lavoro e partecipazione, resiste a tutte le trasformazioni.
Ho visto la gioia nei suoi occhi nel momento in cui la torre si è riempita di giovanissimi impegnati a ricamare e a conoscere la storia legata all’origine della Torre.
Uno degli studenti della professoressa Palone è tornato ogni pomeriggio a ricamare con noi trovando nella tela e nel ricamo una dimensione che lo faceva sentire accolto, tanto da farsi comprare da sua mamma tutto il necessario per continuare a ricamare da solo.
La Torre del Brandale è stato il luogo ideale dove poter svolgere la mia residenza nell’ambito di CONNEXXION, del resto è una architettura voluta e costruita dai cittadini di Savona, un luogo nel quale la città si riconosce nel suo senso di libertà e collettività.