Rocco Dubbini
Rocco Dubbini è nato ad Ancona nel 1969. Vive e lavora tra Roma ed Ancona.
Appartiene alla generazione di artisti che si è affacciata al sistema italiano dell’arte contemporanea tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo. Si è formato all’Accademia di Belle Arti di Urbino, sviluppando un interesse per la materia e le sue potenzialità espressive e concettuali. Negli anni del Liceo Artistico è stato assistente di Walter Valentini partecipando allo sviluppo dell’opera permanente “Reperto come progetto” e assistente di Andrea Pazienza con il quale intraprende l’esperienza di aiuto scenografo. Dagli esordi sulla scena romana si lega a Stefano Sciarretta e Raffaella Frascarelli, fondatori della Nomas Foundation, istituzione che raccoglie diverse opere significative dell’artista. Il suo percorso è legato alla figura di Achille Bonito Oliva che lo inserisce in molteplici progetti tra i quali Arte all’Arte di Galleria Continua, nel progetto speciale con Joseph Kosuth e Luisa Rabbia, e lo invita a produrre un progetto per le nuove fermate della Metropolitana di Napoli, mostre e opere permanenti e interventi per la Certosa di Padula, GAM di Bologna, GAM di Torino. Negli anni immediatamente successivi si consolida nel panorama nazionale ed internazionale, grazie ad una poetica che affonda le proprie radici nel terreno solido delle ricerche poveriste e concettuali, innovandone ed attualizzandone soluzioni formali e contenuti. È tra gli artisti vincitori del Premio Terna 01 nella categoria Gigawatt. Ha esposto al MAXXI, al Chelsea Museum di NY, allo Shanghai Painting and Sculpture Art Museum. Partecipa al progetto “Reciproco”, residenza di artisti italiani in Australia realizzato dall’Istituto di Cultura Italiano di Melbourne. Nel 2015 riceve il premio della giuria di ArtVerona “Independent 5”, curato da Casa Sponge con l’opera “MANTRA”.
Ha collaborato con la Galleria Il Ponte (Roma), Galleria Estro (Padova), Galleria Futura (Praga), le sue opere sono in permanenza presso la Galleria Shazar (Napoli). È il co-fondatore nel 2022 della nuova formazione Gaggia-Dubbini, con la quale si aggiudicheranno il premio Scultura e anche quello di vincitore assoluto della settima edizione del premio Arteam Cup.
CELLA EX CARCERE SANT’AGOSTINO
Sognando fumo
Sognando fumo di Rocco Dubbini è un progetto site-specific pensato per l’ex Carcere Sant’Agostino di Savona, all’interno del quale vennero rinchiuse storiche personalità antifasciste come Ferruccio Parri, Carlo Rosselli e dove fu imprigionato, nel 1925 e nel 1941, Sandro Pertini.
Il luogo individuato dall’artista è la camera detentiva provvisoria di sorveglianza, dove vengono realizzati due interventi: un disegno su carta di 140×100 cm circa, trasferito su parete, e un’installazione di circa 30 pipe di terracotta applicate a muro.
Il grande disegno, realizzato in bianco e nero, è la riproduzione del progetto pensato per il Museo Sandro Pertini e Renata Cuneo e rappresenta una grande Pipa dal cui fornello nasce un fiore.
La Pipa, elemento indissolubilmente legato alla figura di Sandro Pertini, attraverso l’immagine del fiore cita un aneddoto di speranza che lega Pertini alla figura di Antonio Gramsci, con il quale condivise la reclusione nel carcere di Turi.
Le pipe di terracotta, attaccate a parete, come sospese, attraverso un sostegno trasparente, saranno il risultato di due laboratori didattici che si svolgeranno presso il Museo della Ceramica di Savona intorno al tema della libertà. La loro composizione a parete assumerà la forma della nuvola di fumo.
Intervista a ROCCO DUBBINI di Giulia Andrea Gerosa
CONNEXXION accoglie l’artista Rocco Dubbini – reduce della vittoria di Arteam Cup 2022, in coppia con Giovanni Gaggia –, e le sue opere inedite Chiosa e Ceci est le fleur, realizzate appositamente per la mostra Dialoghi intorno alla libertà, a cura di Livia Savorelli. L’artista concentra la propria ricerca sui media artistici, indagati in quanto soggetti veri e propri. Le opere di Dubbini rappresentano una sfida che l’artista rivolge a se stesso: egli supera i limiti della raffigurazione tradizionale attraverso l’utilizzo di linguaggi inaspettati, nell’ottica di sovvertire le consuetudini e le convenzioni prestabilite.
Quali ispirazioni e aspirazioni riponi nelle tue opere?
Mi piace lavorare per temi, partire da un concetto che, per sua natura, è limitato, al fine di scardinarne le fondamenta. Nella mia ricerca estrema, a tratti ossessiva, approfondisco attentamente l’argomento trattato, in modo tale da avere la conoscenza necessaria per poter esprimere un’opinione critica in merito. L’arte mi permette di individuare delle certezze e di capovolgerle, in un progetto di rottura con l’equilibrio determinato. Le mie opere nascono nel punto di frattura fra percorso logico-sequenziale di ricerca e la possibilità di rileggere tale disegno; utilizzando un linguaggio già noto, ma che può essere stravolto, si genera una “cristallizzazione”, cioè una sintesi estrema, talvolta inattesa.
L’aspirazione che ripongo nelle mie opere è lo sviluppo di un significato altro e oltre, che superi la lettura superficiale e stereotipata di una determinata forma espressiva, e arrivi all’essenza vera delle cose.
Come hai interpretato i temi del festival per la mostra Dialoghi intorno alla libertà?
La libertà, la memoria e l’identità sono tre tematiche che affronto quotidianamente, e da cui cerco di trarre ispirazione per il mio percorso e la mia ricerca creativa.
Tengo molto al tema della memoria, principalmente quella più recente, che definirei essenzialmente come riemersione della storia contemporanea. Da essa ha origine una seconda tematica, l’identità. In quanto artista italiano, mi interessano particolarmente l’identità e la memoria del nostro Paese, emblematico sotto il punto di vista geografico e culturale. Attraverso il mio lavoro, tento di promuovere una forma di riscatto per l’Italia, spesso descritta in modo macchiettistico: noi italiani non possiamo essere vittime di questa lettura, che frequentemente ci auto-attribuiamo, o che comunque assecondiamo. Possedere un’identità personale e nazionale ci consente di incidere nel nostro percorso di vita in modo diverso, al di fuori dei cliché.
Nelle mie opere, in particolar modo Chiosa, vi è una narrazione, una spiegazione quasi cronologica e didascalica di un decennio della storia italiana. Gli avvenimenti, apparentemente sconnessi fra loro, configurano in realtà una serie di cambiamenti storico-politici che hanno sconvolto l’intero Occidente. Il fil rouge in questo crogiuolo di crimini e misteri è la figura del Presidente Pertini: in una situazione così complessa, è riuscito a tener compatto un intero Paese e a produrre un’identità nazionale, mantenendo la linea della fermezza, anche quando sembrava incongruo. È in questo cortocircuito contraddittorio che si inserisce il mio lavoro. Le mie opere sono libere perché riflettono la mia libertà d’artista di poter e dover far incontrare queste incompatibilità, tradotte in un progetto dal valore estetico e comunicativo.
Cosa rappresenta per te la figura di Pertini? In quale modo ha influenzato il tuo lavoro?
Il Presidente Pertini è un’immagine iconica, oltre che un soggetto frequente nelle mie opere. Ho vissuto la sua presidenza in presa diretta, per poi studiarlo a fondo in quanto uomo politico della storia contemporanea: è nel mio “archivio” da tanti anni. Per chi si occupa d’arte, Sandro Pertini è un facilitatore estetico, in lui si ritrova il gusto di un soggetto noto e un’epoca precisa. Nello specifico, per me è un’icona rilevante, perché mi ha consentito di attribuire un volto, un significato, ad una ricerca personale già in divenire da tempo, e che finalmente ha potuto prendere forma concreta.
Entrambe le opere presenti in Dialoghi intorno alla libertà sono incentrate sulla sua immagine, interpretata, però, con sfumature diverse: ho cercato di manifestare un’entità e un’identità, tanto personale quanto diffusa. In Chiosa, il Presidente appare in filigrana, viene sollevato dalla presenza fisica per lasciar spazio al contesto che lo determina. Ceci est le fleur, invece, indaga pienamente l’iconicità di Pertini, in quanto persona in carne ed ossa, ed il significativo rapporto intellettuale e amichevole intrattenuto con Antonio Gramsci.
Ad ogni interpretazione dell’icona pertiniana hai attribuito un medium diversificato, anche inusuale. Puoi dirmi di più?
Chiosa, installazione site-specific, si struttura come un vero e proprio paravento. Volevo creare un’opera autonoma, in grado di sostenersi da sé, che avesse una propria gravità, in ragione di una similitudine con il momento storico narrato. All’epoca, i fatti venivano presentati in modo ambiguo, addirittura ingannevole, e ciò ha portato allo sviluppo di tensioni all’interno della nazione, mentre Pertini ha sempre tentato di tenerla unita, di proteggere gli italiani dagli episodi tragici. L’opera nasce con l’obiettivo di edulcorare questo periodo complesso, ancora misterioso, rendendo gli eventi drammatici esteticamente piacevoli. Chiosa non pone fine al dibattito, al contrario, riapre la discussione su un momento storico di cui sappiamo ancora troppo poco.
Ceci est le fleur, invece, è un’installazione composta da una pipa Castello, come quelle usate da Pertini, da cui germoglia un fiore. Egli era un uomo tollerante – e dalla tolleranza nasce la libertà –, diceva che non c’era persona più tollerante di un fumatore, come lui, perché si doveva sopportare ed essere sopportati. Inoltre, la pipa è un elemento simbolico ed estetico, che ha contribuito alla costruzione iconica di Pertini, diventandone la firma. Le pipe Castello sono delle piccole opere d’arte artigianali, riflesso di un savoir faire tutto italiano e dunque di una nostra identità collettiva, anche se ormai quasi estinta. Accanto a quest’idea comunitaria ed intima, ho sviluppato il filone narrativo dell’amicizia fra Gramsci e Pertini; la loro era una relazione intellettuale di altri tempi, fatta anche di passeggiate all’interno del carcere in cui entrambi erano prigionieri. Durante una di queste, i due riflettono sulla similitudine fra esistenza umana e naturale, ispirati dal ciclo vitale di un fiore: non appena veniamo colpiti da una delusione – il ritrovamento di un fiore appassito –, subito la speranza, persistente e latente compagna di viaggio, rinasce in noi, come un bocciolo comparso fra le foglie. Così, dalle ceneri della pipa Castello sboccia un fiore, come risorge in noi la fiducia per un futuro migliore, che temevamo di aver perso.